Convivere con la paura del terremoto è un’esperienza alienante. L’imponderabilità e l’imprevedibilità che si celano dietro un evento sismico generano ansietà, angoscia, precarietà, istinto di sopravvivenza.
Un pò come essere tifosi del Taranto.
Chi vi scrive vive a Modena da quasi 15 anni; sono quasi un emiliano di adozione, sposato con una modenese e padre di due bimbi nati a Carpi.
Per uno strano scherzo del destino domenica prossima Modena ospiterà allo stadio Braglia la finalissima dei play-off che porterà in serie B una squadra tra Carpi e Pro Vercelli.
Se tutto fosse andato secondo le previsioni il 10 giugno si sarebbe giocato altrove, non certamente a Modena, e le due protagoniste sarebbero state altre; ma purtroppo, come è noto, i terremoti non si possono prevedere benché se ne possano misurare le conseguenze.
La notte tra sabato 19 e domenica 20 maggio l’adrenalina per l’attesa di ProVercelli-Taranto avrebbe comunque vinto sul mio sonno. La forte scossa di terremoto alle 4.05 del mattino è stata invece il funesto presagio di due settimane che non scorderò mai.
Dopo la pioggia e la delusione di Vercelli, ho dovuto vivere anche la doccia fredda e la resa dello Iacovone. Inattesa, incredibile, durissima. Il Taranto eliminato dai play-off, con lo spettro del fallimento e senza un futuro.
L’immagine dei calciatori sotto la gradinata a raccogliere il saluto (l’ultimo?) dei tifosi resterà per molto tempo scolpita nella mia mente e sulle mie guance solcate da lacrime amare.
Non ho neanche il tempo di metabolizzare il senso di svuotamento emerso dopo la sconfitta che tre nuove scosse di terremoto, quelle del 29 maggio, mi riportano alla realtà. Mezza Emilia in ginocchio. 15-20000 persone sfollate. Decine di morti. Psicosi collettiva.
Mi rendo perfettamente conto che paragonare le vicende di una squadra di calcio a quelle di vite umane, di case, di capannoni, di chiese e di monumenti che crollano possa apparire irriverente e blasfemo. Eppure in questa storia di epicentri paralleli ci sono molte analogie e potrebbe esserci un felice comune denominatore.
E’ evidente a tutti la voglia di riscatto e l’intraprendenza degli emiliani. Gente che non vuole piangersi addosso e che sa solo rimboccarsi le maniche. “Teniamo botta” si dice da queste parti. Non ho dubbi che ce la faranno (ce la faremo).
E’ lo stesso spirito che anima la Fondazione Taras nel vigilare sulle turbolente questioni che riguardano il calcio tarantino in queste ore. Da guardiani e garanti della passione rossoblu, abbiamo la grande opportunità di essere protagonisti e artefici del nostro destino. Smettiamo di piangerci addosso, rimbocchiamoci le maniche e teniamo botta.
Voglio credere che tutto possa essere ricostruito fedelmente. Voglio credere che non esistano sciacalli e speculatori. Voglio credere che le nuova fondamenta siano inaffondabili.
Semplicemente voglio credere.
P.S. Se il Taranto fosse arrivato in finale avrebbe affrontato il Carpi. Abbiamo ahinoi risparmiato i soldi di quella trasferta. A buon intenditore, poche parole. E un link (http://www.carpidiem.it/html/default/_d/132/132530.html).