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Sono (state) solo parole

A quanto pare gli ultimi tre anni sono stati un bluff. Almeno questo è quello che ci suggeriscono le recenti cronache. Tre anni di finzione spacciata per serietà, in cui tutto, famiglia compresa, probabilmente ha fatto parte di un gioco in cui il finale era già scritto. Probabilmente già da quella domenica in cui fu annunciata la fine dell’era Blasi e l’inizio dell’era D’Addario.

Un presidente invocato a gran voce da chi mal digeriva la precarietà che aveva contraddistinto la gestione del suo predecessore. Un presidente che pagava tutti, persino gli steward, che faceva contratti pluriennali a chiunque, anche a illustri sconosciuti scandinavi, che partecipava alle manifestazioni contro l’Ilva, che parlava del progetto di far rinascere Taranto partendo dal calcio. Un presidente che aveva messo su un settore giovanile ‘monstre’ e tutto sommato vincente e ci faceva sognare che i vari Polizzi, Sogliuzzo, Di Dio e compagnia cantante sarebbero stati i campioni del futuro del Taranto, magari in B. Che ci ha illuso che a Taranto fosse possibile un calcio diverso slegato dai mestieranti di turno. Che prima ci ha parlato di codice etico e poi ha ingannato la buona fede di noi tifosi e quella di Dionigi per mascherare fino all’ultimo l’amaro epilogo del suo progetto.

Non gongoli chi pensa di aver capito tutto dall’inizio, perché nessuno aveva capito niente. Le critiche che gli sono piovute addosso erano per la sua arroganza o per la sua testardaggine su scelte sportive scellerate come affidare la panchina a Passiatore. Nessuno aveva immaginato il grande inganno. Magari dopo la prima scadenza non rispettata di novembre avevamo subodorato qualcosa, solo che molti di noi hanno sperato in una B riparatrice che invece non è arrivata. Ora sappiamo anche perché non sono arrivati sponsor rigeneratori o perché la società non era avvicinabile da nessun compratore, serio o non serio che fosse.

Potremmo anche non pensare al passato se oggi non ci toccasse l’amaro destino di perdere in casa, e male, col Gladiator o col Foggia. Ci ritroviamo in D con una squadra ancora zoppicante, una società per molti versi da definire e un’impresa che anche in condizioni più floride sarebbe difficilissima.

Negli ultimi anni ripartire dalla D e centrare subito la promozione è riuscito a pochi. A memoria ricordo Lucchese, Salernitana e Perugia. Non è riuscito all’Avellino o allo Spezia, tornate in Lega Pro con il ripescaggio. Né al Cosenza né al Brindisi lo scorso anno, per non parlare dell’Arezzo, da tre anni nell’inferno della D, o, peggio, del Messina.

Abbiamo provato tutti i tipi di presidente negli ultimi anni: dal mestierante del calcio, all’avventuriero senza scrupoli al sedicente onesto. Ci è andata male sempre.

Ora abbiamo un gruppo di persone che ha avuto il merito di non aver fatto proclami né promesse di Champions League a vanvera, che è consapevole dei suoi punti di forza ma conosce anche i suoi punti deboli, che sta lavorando a testa bassa tra le difficoltà e disponibilità economiche limitate. Proviamo anche questa, senza farci illusioni, magari sfruttando l’ennesima ripartenza per costruire qualcosa di più duraturo. Per allargare la base societaria e arrivare a un punto in cui tutti siamo proprietari e nessuno è padrone assoluto. Una public company in cui se uno viene meno almeno altri cento sono pronti a tirare la carretta senza particolare fatica.

Proviamo questa soluzione, l’unica che ci manca. Perché di Carelli, Pignatelli, Fasano, Fico o Di Maggio Taranto non ne ha più.

Gianluca Semeraro alias Kuldelski

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