Dall’impunità ambientale a quella da stadio! Nel mezzo ci sono un latitante, un tornado e un decreto. Ingredienti perfetti per un thriller industriale che si conclude con i buoni che trionfano e i cattivi che espiano le proprie colpe. Non a Taranto però. Da noi di avere un lieto fine proprio non se ne parla.
Alla drammatica straordinarietà della settimana tarantina, quella appunto del latitante, del tornado e del decreto, si è aggiunto l’epilogo domenicale, ben più ordinario e leggero, ma ugualmente foriero di rabbia e delusione. Una partita disputata su un campo caldissimo dove il pubblico fa la differenza. Dove hai paura di pareggiare o andare in vantaggio perché i tuoi cari sono sugli spalti e potrebbero pagare il prezzo del tuo eroismo in campo. Una partita nella quale sei continuamente provocato dagli avversari e non hai alcuna opzione: se reagisci sei espulso, se non reagisci la provocazione aumenta.
La sconfitta è sicuramente frutto dei nostri madornali errori difensivi, siamo d’accordo. Ma non possiamo archiviare il comportamento dei calciatori granata in campo e dei tifosi in tribuna con un semplice “cosa vi aspettavate? siamo in serie D”.
Se non siamo noi i primi a rivendicare il rispetto delle regole allora non andiamo da nessuna parte. Anche perché a Taranto, a dispetto della cattiva fama che ci portiamo dietro, i nostri avversari vengono trattati sempre con i guanti di velluto. In più ci hanno privato dell’anello inferiore da tanto di quel tempo che abbiamo disimparato le tecniche, ben note ai neretini, di “persuasione occulta” di calciatori avversari e arbitri.
Una partita come quella di Nardò sei destinato a perderla. Non ci sono alternative. Se avessimo vinto sarebbe evidentemente scoppiato il putiferio. Sono curioso di vedere se ci saranno sanzioni a carico della società granata. A noi per due fischietti a Brindisi ci hanno dato 1.000 euro di multa. E non è facile vittimismo. Da troppo tempo a Taranto non si concede né si perdona nulla. Non solo nel calcio.
La settimana appena trascorsa ha sancito che Taranto non ha diritto alla salute. Ha diritto al lavoro ma solo perché contribuisce alla formazione del Pil del paese. La settimana appena trascorsa ci ha rivelato, tramite le intercettazioni, gli sforzi reticolari dei Riva per mettere la sordina a una città “scomoda” con l’appoggio di politici, giornalisti, sindacalisti. Come accadde con Calciopoli, quando le intercettazioni rivelarono che le chiacchiere del bar dello sport era più che fondate, anche per l’Ilva ci siamo resi conto che tutti i nostri sospetti non erano eccessi di fantasia.
E se prima attribuivo ad esempio la bocciatura reiterata della maglietta “RespiriAMO Taranto” solo alla stupidità dei burocrati delle varie leghe, oggi comincio a pensare che davvero la rete di Riva possa essere arrivata fin lì. E anche oltre. E comincio a capire come mai l’estate scorsa inspiegabilmente nessuno si avvicinava al Taranto. E come mai Confindustria Taranto, senza mezzi termini, aveva condannato il calcio tarantino alla sua definitiva scomparsa.
Capisco che l’interesse del padrone fosse quello di cancellare dalle pagine di qualsiasi giornale, anche quelli sportivi, una città che aveva un vaso di Pandora pronto a esplodere. E allora via tutto: la ferrovia, la provincia, il calcio. Via qualunque cosa che potesse far parlare di Taranto fuori Taranto. Sto correndo troppo? Forse. Ma solo sei mesi fa, se vi avessero raccontato del latitante, del tornado e del decreto, ci avreste creduto?