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Taranto e il calcio

di Giuliano Pavone, tratto dall’introduzione della graphic-novel “L’eroe dei Due Mari: Taranto, il calcio, l’Ilva e un sogno di riscatto”

Taranto e il calcio

Taranto è la più grande città italiana fra quelle che non hanno mai avuto una squadra di calcio in Serie A. Il club dai colori rossoblu che porta il nome della città fino a qualche decennio fa ha diviso la sua storia fra Serie B e C1. Il periodo più glorioso si è vissuto negli anni 70, con dodici campionati consecutivi disputati in B spesso a ottimi livelli, proprio mentre la città viveva il suo momento di massima crescita e benessere legato alle sorti dell’impianto siderurgico. Quasi a voler anticipare il brusco risveglio che sarebbe toccato alla città industriale nel decennio successivo, anche il calcio tarantino conobbe una tragica inversione di tendenza proprio all’apice della sua storia: nel febbraio 1978, con la squadra in lotta per la promozione in Serie A, Erasmo Iacovone, centravanti molisano del Taranto e capocannoniere del campionato, perse la vita in un assurdo incidente stradale (la sua auto fu travolta da una macchina guidata a fari spenti e a gran velocità da un ladro in fuga). Quasi un segno del destino: Icaro si era avvicinato troppo al sole e le sue ali di cera si erano sciolte.

Nel 1993 lo scenario cambiò radicalmente: in seguito alla prima stretta delle istituzioni calcistiche sui controlli dei bilanci delle società, un Taranto gravato da debiti fu radiato, insieme ad altri club, dai campionati professionistici. Si costituì un nuovo sodalizio che ottenne di iscriversi alla quinta serie nazionale, la prima non professionistica, che allora si chiamava Campionato Nazionale Dilettanti. Da quel momento fino al 2011 il ritorno in Serie B è rimasto una chimera. In un’altalena di promozioni e retrocessioni, fra frequenti cambi di proprietà e un nuovo fallimento, per tre volte il Taranto ha partecipato ai playoff di Serie C1 (il minitorneo di fine campionato con cui quattro squadre si giocano una promozione in Serie B), uscendone però sempre sconfitto (due volte in finale) al termine di partite in alcuni casi molto chiacchierate.

Il campionato 2011-2012, poi, è probabilmente il più rocambolesco della pur movimentatissima storia del Taranto. Il club parte penalizzato di un punto per una mai chiarita storia di “responsabilità oggettiva presunta” risalente a una partita del campionato precedente, in cui alcuni calciatori avversari avevano scommesso sulla sconfitta della propria squadra. Ma il Taranto, guidato da alcuni mesi dall’allenatore esordiente Davide Dionigi, va forte, e occupa stabilmente le primissime posizioni di classifica. Merito, in particolare, di una difesa incredibilmente ermetica: per lungo tempo il Taranto è la squadra meno perforata di tutti i campionati professionistici, italiani e non solo.

Le difficoltà, però, sono dietro l’angolo. Benché il presidente D’Addario minimizzi, lo stato di salute finanziaria del club appare quantomeno preoccupante. Le scadenze di pagamento dei giocatori non vengono rispettate, il che, secondo il regolamento federale, comporta l’assegnazione di altri punti di penalizzazione, che a fine campionato saranno sette. La squadra però non si scoraggia. Invece di disunirsi di fronte ai ritardi nei pagamenti e alle ripetute promesse non mantenute dai dirigenti, giocatori e allenatore trovano nelle difficoltà ulteriori stimoli e, in una sorta di patto fra loro e coi tifosi, riescono a moltiplicare le forze.

I tifosi, a loro volta, sembrano raccogliere il messaggio, e si industriano per dare il loro contributo fattivo alla causa. Il gruppo Taranto Supporters promuove una sottoscrizione per “sponsorizzare” la squadra, con un’iniziativa dall’alto valore simbolico. In pochi giorni vengono raccolti oltre diecimila euro, mentre un sondaggio sul web definisce che sulle magliette della squadra dovrà apparire la scritta “RespiriAMO Taranto”: un messaggio d’amore nei confronti della città e al contempo un grido d’allarme per la difficile situazione ambientale. Si inoltra formalmente la richiesta di sponsorizzazione, che viene accolta. Tutto sembra pronto perché il nuovo sponsor esordisca proprio nell’importante trasferta contro la capolista Ternana (il Taranto è secondo) ma in extremis la Lega Calcio fa dietrofront e vieta l’esposizione della scritta, ravvisando nel messaggio una valenza politica. La rabbia è tanta, ma in breve il divieto si trasforma in un autogol per la Lega Calcio (e per chiunque altro non veda di buon occhio l’iniziativa): la notizia dell’“amore negato” fa il giro d’Italia, trovando sui principali media nazionali una visibilità molto superiore a quella che avrebbe avuto senza il divieto.

Il Taranto conclude la stagione regolare al secondo posto. Sul campo, in realtà, ha fatto più punti di tutti: senza la penalizzazione sarebbe arrivato primo, ottenendo quindi direttamente la sospirata promozione in Serie B. Invece deve ancora una volta affrontare i playoff. E ancora una volta, in un clima reso difficile dalle voci di fallimento imminente, li perde.

Se la promozione in Serie B avrebbe forse potuto evitare il fallimento, rendendo la società appetibile per eventuali acquirenti, dopo aver mancato l’obiettivo risulta subito chiaro che mantenere il club in piedi, conservando quindi il diritto di giocare in terza serie, è estremamente difficile. E infatti, dopo settimane convulse fatte di trattative vere e presunte, il club non si iscrive al campionato. Dal danno si passa, qualche settimana dopo, alla beffa: alcuni media spargono la voce che un ricorso contro i punti di penalizzazione è stato accolto, e che dunque il Taranto risulta primo in classifica e promosso in Serie B. Quando molti tifosi sono già in strada a festeggiare, si scopre che la notizia non è vera e che si è trattato di uno scherzo di cattivo gusto o, forse, di un semplice equivoco.

Dal sogno della Serie B si ripiomba quindi nell’incubo delle serie minori, o addirittura della scomparsa. Come 19 anni prima, infatti, si tratta di ricostituire una nuova società, cercando di iscriverla nella migliore delle ipotesi, alla quinta serie (che ora di chiama Serie D). Ci si riesce, ancora una volta in extremis, grazie soprattutto al contributo di un nuovo soggetto che si è affacciato sulla scena da pochi mesi. Si chiama Fondazione Taras 706 a.C. ed è un’associazione di promozione sociale nata con lo scopo di rappresentare gli interessi dei tifosi e di promuovere i valori più alti dello sport. Un “trust” di tifosi, sul modello nato nel Regno Unito e che sta prendendo piede anche in Italia, ma anche un’altra interessante iniziativa di democrazia partecipata che vede la luce a Taranto. È la Fondazione Taras, che conta, al momento di andare in stampa, oltre 800 soci, a creare la nuova società e ad affiliarla alla Federazione Calcio, detenendone una quota di minoranza e favorendo l’ingresso nella compagine di altri azionisti. Di fatto oggi il Taranto è il primo club calcistico italiano fondato dai suoi tifosi. Ed è questo, a dispetto delle difficoltà e della costante situazione di emergenza, che fa ben sperare per il futuro.